Power Metal

Il power metal è un sottogenere dell’heavy metal che prende spunto dall’heavy metal classico e dallo speed/thrash metal.

Questo stile utilizza chitarre dalle armonie acute, e voci potenti. È anche uno stile epico, con brani di lunga durata e tematiche riguardanti la mitologia, il fantasy, la fantascienza e la metafisica. Buona parte delle band power metal, soprattutto quelle scandinave, prevedono anche un tastierista. Alcuni esempi di gruppi riconoscibili in questa corrente possono essere Blind Guardian, Helloween, Edguy, Angra, Primal Fear, Stratovarius, HammerFall, Gamma Ray, Iced Earth, Nightwish, Rhapsody of Fire e Sabaton. Il termine power metal è da alcuni ritenuto pressoché sovrapponibile all’epic metal, che per altri commentatori costituirebbe invece un genere a sé stante.

Nel Power metal italiano è molto diffusa una variante melodica e veloce con spunti neoclassici e medievali. I testi, generalmente, parlano di temi Fantasy. La scena è “esplosa” nella metà degli anni novanta, con artisti che tuttora riscuotono molto successo nel mondo, come Rhapsody of Fire, Labyrinth, White Skull, Secret Sphere, Spellblast, Ancient Bards, Skylark, Thy Majestie, Elvenking, Domine, Kaledon, Arthemis, Overtures, Heimdall, e Vision Divine.

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Pop

La musica pop, traduzione del termine inglese pop music, è un genere musicale appartenente all’insieme della popular music, che trova origine, nella sua forma moderna, come derivazione del rock and roll.

Nella lingua inglese, i termini popular music e pop music sono spesso usati impropriamente in modo intercambiabile. Nonostante questo, il termine popular music è un termine generico che si riferisce alla musica di gradimento generale nell’epoca moderna, mentre la notazione di pop music si riferisce ad uno specifico genere musicale. Secondo Gianni Sibilla, la musica pop «indica un campo più ristretto e definito rispetto a quello di popular music».

La musica pop sempre secondo Sibilla è «contraddistinta da alcuni aspetti specifici che riguardano il periodo storico di produzione, le forme testuali e linguistiche, gli attori sociali coinvolti, il modo in cui essi costruiscono la propria identità e, soprattutto, il rapporto con i mezzi di comunicazione di massa. In altre parole, la musica pop è un macrogenere musicale contemporaneo che ricomprende tutti i sottogeneri specifici della canzone popolare sviluppatisi a partire dall’avvento del rock and roll, contraddistinti dalla diffusione intermediale su supporti fonografici e mezzi di comunicazione».

Lucio Spaziante riassume sinteticamente le caratteristiche della musica pop classificandola come “mainstream di facile ascolto dipendente dall’industria discografica”.

Nasce nel 1960. Se negli anni sessanta il termine “musica pop” in Italia era poco usato in favore del più generico musica leggera, sul finire del decennio veniva usato per indicare genericamente tutti quei gruppi che uscivano dalle forme imposte dalla canzonetta, e che vedevano nel Festival di Sanremo il loro motore principale. Venivano quindi inseriti senza distinzione nella definizione di pop gruppi musicali che andavano dalla musica beat al rock psichedelico e al rock progressivo. Solo in seguito il termine “pop” fu usato con l’accezione con cui ci si riferisce a livello internazionale, con la classificazione e distinzione del rock come specifico genere alternativo.

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Bibliografia

Richard Middleton, Studiare la Popular music, Milano, Feltrinelli, 1994.
Lello Savonardo, Sociologia della musica. La costruzione sociale del suono dalle tribù al digitale, Torino, Utet Università, 2010.
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, Milano, Strumenti Bompiani, 2003.

SOTTOGENERI DEL POP sul sito

Beat

Musicisti Reggiani

Folk

Se si parla di musica tradizionale o folclorica, s’intende in poche parole il folk, che è stato trasmesso oralmente da tempi immemorabili. È musica delle classi sociali più povere, creata da compositori che per la maggior parte sono rimasti sconosciuti. È dalla metà del 1900, quando molti compositori cominciarono a sviluppare nuove forme di musica popolare ispirate alla musica tradizionale. Il tentativo di descrivere la musica folk in vario modo è avvenuto molte volte, cercando di trovare un minimo comun denominatore, cosa abbastanza difficile. Se parliamo comunque di musica tradizionale alcune caratteristiche sono abbastanza riconoscibili; innanzitutto la trasmissione orale: contadini e operai che erano analfabeti e si affidavano alla loro memoria per la trasmissione delle canzoni.

Questa musica è poi legata intimamente alla cultura nazionale; ci sono vasti esempi di gruppi di emigrati che si raccolgono per suonare e cantare le canzoni della madre patria, un modo come un altro per rimarcare le differenze con l’ambiente in cui vivevano al momento. La cosa diventa evidente in alcuni specifici giorni dell’anno, dedicati alle commemorazioni storiche o in periodi specifici nei quali certe canzoni particolari scandiscono il ciclo dell’anno. Sono spesso gli eventi religiosi a essere accompagnati da danze e canti particolari. Molti sono stati i cosiddetti momenti di revival che hanno interessato ogni forma di musica folk, come il British folk revival che avvenne dal 1890 al 1920, o il liscio in Italia nello stesso periodo. Sono molti i fenomeni sparsi in tutto il mondo che hanno visto rinascere interesse da parte dei giovani verso le proprie tradizioni culturali.

Al giorno d’oggi, però, se parliamo di folk music ci viene subito in mente una chitarra acustica suonata spesso in modo dolce che accompagna testi spesso aperti ai problemi sociopolitici: famosa negli anni ’60 quella che è stata definita la stagione del contemporary folk, che ha visto sulla scena musicale americana l’esordio di Bob Dylan e Joan Baez. Gli strumenti adoperati sono acustici e legati alla tradizione, nella quale, col passare delle decadi, si è sviluppata anche un’anima elettrica da molti vista, però, come un tradimento: esemplare il caso di Bob Dylan a Newport.

da staimusic.it


 

Cantautorato italiano

Sebbene la tradizione della canzone d’autore si possa far risalire al teatro rivista degli anni 1930-40, e in particolare alla produzione di R. De Angelis (nome d’arte di R. Tonino), R. Balzani e O. Spadaro, il termine c. entrò in voga in Italia agli inizi degli anni 1960, quando alla canzone di intrattenimento e di largo consumo si cominciò a contrapporre una nuova forma, capace di affrontare tematiche non soltanto ‘leggere’, ma anche sociali e politiche.

Il terreno fu preparato dall’esperienza del Cantacronache (creato a Torino nel 1958 da R. Leydi, S. Liberovici), da cui nacque il Nuovo canzoniere italiano e la tradizione della canzone italiana di protesta, fortemente legata al folclore italiano, che ebbe tra i suoi principali esponenti I. Della Mea, G. Marini, P. Pietrangeli, e F. Amodei.

Parallelamente, D. Modugno inaugurò l’altro grande filone della canzone d’autore, quello influenzato dalla tradizione francese dei chansonniers, che fu poi proseguito da G. Paoli, L. Tenco, P. Ciampi, U. Bindi, S. Endrigo, B. Lauzi, F. De André, e in cui si possono far rientrare anche E. Jannacci e G. Gaber (e parolieri come G. Calabrese o musicisti come G. Reverberi). Questi artisti portarono temi e sonorità nuove nel campo della canzone italiana, spostando definitivamente il baricentro dalla vecchia scuola melodica a una nuova forma, dove i contenuti, le parole delle canzoni, rivestono importanza essenziale. Sul finire del decennio, i grandi successi ottenuti da L. Battisti segnavano la definitiva rottura con la tradizione del ‘bel canto’.

Dall’inizio degli anni 1970, la canzone d’autore ricevette nuovi impulsi dal folk revival statunitense e dai movimenti studenteschi di contestazione. Tra i principali protagonisti di questa nuova stagione, A. Venditti e F. De Gregori, F. Guccini e C. Lolli, Eugenio ed Edoardo Bennato, P. Daniele, L. Dalla e I. Fossati, ma anche E. Finardi e A. Camerini, sebbene legati musicalmente più al rock duro che alla tradizione folk. Una tendenza in parte diversa, più incline a esplorare la dimensione personale che quella sociale e collettiva, viene inaugurata da C. Baglioni e R. Cocciante, e proseguita in vario modo da A. Branduardi, P. Conte, F. Battiato, R. Gaetano, Ron (R. Cellamare), R. Vecchioni, I. Graziani, R. Zero, G. Nannini, L. Carboni, ‘Zucchero’ A. Fornaciari, E. Ruggeri, T. De Sio, S. Caputo, F. Concato, P. Bertoli, L. Barbarossa, A. Minghi.

A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso la produzione dei c. si è caratterizzata per un’accresciuta attenzione al momento stilistico-musicale e ha trovato i suoi interpreti più popolari in V. Rossi, L. Ligabue, Jovanotti (Lorenzo Cherubini), E. Ramazzotti, F. Baccini, M. Masini, B. Antonacci, G. Grignani, D. Silvestri, A. Britti, M. Gazzé, I. Grandi, M. Zarrillo ed Elisa (E. Toffoli), che è anche l’unica in questo gruppo a scrivere testi in inglese. Più legate alla tradizione dei c., e al lavoro poetico sul testo, appaiono invece le canzoni di S. Cammariere, V. Capossela, G. Testa, S. Bersani, N. Fabi e C. Consoli.


 

Progressive Rock

Definire il progressive dunque come stile, definirne i perimetri estetici, l’humus emotivo, non è così semplice. Sono stati, a mio parere a ragione, attribuiti in area progressive gruppi molto diversi, dal sinfonismo dei Renaissance agli sperimentalismi degli Henry Cow. Il progressive ha confini molto più vasti del blues o dell’heavy metal. Ma comunque li ha. Vediamo di definire alcuni punti.

– Il rifiuto programmatico della “forma canzone”, il rifiuto della riduzione delle forme espressive del rock nell’ambito della rigidità strutturale del ritornello come fulcro dell’invenzione musicale.

– Il poter prevedere nell’ambito del dispiegarsi di tale invenzione la creazione di pezzi molto lunghi, anche suddivisi in sottosezioni, con l’alternarsi nello stesso brano di situazioni musicali molto diverse.

– Il massiccio utilizzo di cambi di tempo nella ritmica, spesso con tempi dispari.

– L’utilizzo di strumentazioni molto allargate che superino la triangolazione chitarra-basso-batteria, con un utilizzo massiccio di tastiere (in particolare due strumenti leggendari come l’organo hammond e il mellotron), vero “marchio di fabbrica” per moltissimi gruppi progressive, ma anche di strumenti a fiato e a volte intere sezioni d’archi o orchestre.

– Arrangiamenti molto ricchi e ridondanti, spesso con toni celebrativi e epici.

– L’uso di strutturazioni spesso ritmicamente e melodicamente complesse con marcato sfruttamento di situazioni armoniche mutuate dalla musica classica (sia barocca che romantica), ma spesso anche dal jazz, con il superamento parziale delle radici blues fino ad allora imprescindibili nel rock.

– In generale, lo svincolare la musica dal contesto sociale e/o politico; il progressive non riflette il reale ma al limite lo stempera nel fantastico, non porta messaggi sottotraccia ma solo estetismo fine a se stesso, puro, incontaminato, cristallino. Il progressive è rock che nasce e si sviluppa nella borghesia. Ovviamente a prescindere dalle opinioni sociali o politiche dei singoli musicisti.

– Un uso molto limitato dell’improvvisazione.

– L’uso di testi, grafica, diremo in generale “look”, tendente al metaforico, criptico, fantastico.

– Un approccio strumentale tendenzialmente virtuosistico, con un rapporto quasi epico del musicista con il proprio strumento.

(Michele Chiusi)

Per approfondire: OndaRock e Storia della musica rock di Piero Scaruffi


 

Beat

La musica beat (dal verbo inglese to beat, battere) è un genere musicale della popular music nato negli anni sessanta in Inghilterra dal rock and roll (principalmente nello stile chitarristico alla Chuck Berry e nel midtempo di artisti come Buddy Holly) con influenze swing, blues, doo-wop e skiffle. Gli artisti della musica beat comprendono molte delle band poi responsabili della British Invasion, che vide nel 1964 l’esplosione della scena musicale inglese in tutto il mondo. Tale scena decretò molti modelli che poi vennero seguiti dalla musica pop e rock, incluso il classico formato della band composta da voce, chitarra, basso elettrico e batteria.

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Post-rock

Definire il significato di Post-rock è arduo: troppe le influenze, le ramificazioni, le tendenze; eppure nonostante ciò spesso basta un ascolto superficiale per riconoscerne immediatamente “il” suono. Il termine appare per la prima volta nel 1994 sulla rivista Wire, all’interno di un articolo di Simon Reynolds dedicato ad alcune band (Pram, Stereolab, Disco Inferno, Seefeel, Bark Psychosis, Moonshake, ecc.) che probabilmente oggi, più che post-rock, definiremmo indie-pop per la loro attitudine a produrre un pop distorto composto da melodie accattivanti su suoni deviati (o suoni accattivanti sovrastati da melodie deviate). In quell’articolo Reynolds descrisse il genere come “using rock instrumentation for non-rock purposes, using guitars as facilitators of timbres and textures rather than riffs and powerchords. Increasingly, post-rock groups are augmenting the traditional
guitar/bass/drums line up with computer technology: the sampler, the sequencer and MIDI (Musical Instrument Digital Interface). While some post-rock units (Pram, Stereolab) prefer lo-fi or outmoded technology, others are evolving into cyber rock, becoming virtual”.

Per approfondire:

Approfondimento della Biblioteca Ospizio


 

Rap

Il rap (o rapping) è una tecnica vocale tipica della musica hip hop, che consiste nell’esecuzione di allitterazioni, assonanze e rime senza melodie su basi ritmiche uniformi, cadenzate e spesso già assemblate e registrate, strumentali o più spesso elettroniche.

Chi scandisce tali versi, il rapper o Master of Ceremonies (MC), lo fa su una successione di note (“beat”) realizzata tramite il beatmaking, riprodotta da un DJ e fornita da un produttore o più strumentisti.

Insieme al graffitismo, alla break dance, e al DJing, il rap costituisce una delle quattro arti della cultura “hip hop” nata negli Stati Uniti d’America, presso la comunità afroamericana e latinoamericana di New York nei primi anni settanta, come un riadattamento americano del DJ style, uno stile di reggae giamaicano ritenuto il principale precursore di questo genere. (Wikipedia)

Per approfondire la cultura hip hop e il suo sviluppo musicale:

Il post

Documentario “Numero Zero”

Documentario “Hip-Hop Evolution

Bibliografia

M. Costello, D. F. Wallace, Il rap spiegato ai bianchi, Roma, minimum fax, 2000
A. Di Quarto, La storia del rap: l’ hip hop americano dalle origini alle faide del gangsta rap 1973-1997, Milano, Tsunami, 2017
A. Di Quarto, La storia del rap: l’hip hop americano degli anni duemila dalla rinascita al fenomeno trap 1998 – 2018, Milano, Tsunami, 2018
Dj Semtex, Hip Hop raised me : la storia del rap raccontata da un protagonista, Milano, Rizzoli, 2017
S. Serrano, Il rap anno per anno : le più importanti canzoni rap dal 1970 a oggi, Milano, Mondadori, 2018


 

Musica elettronica

Per musica elettronica si intende tutta quella musica prodotta o modificata attraverso l’uso di strumentazioni elettroniche.

Sebbene i primi strumenti musicali elettronici si siano diffusi già a partire lungo la prima metà del Novecento, si è iniziato a parlare di musica elettronica solo a partire dagli anni quaranta del secolo, quando si diffusero diversi studi di registrazione in Europa specializzati nella composizione di musica d’avanguardia. Durante gli anni 1960, il successo commerciale di strumenti elettronici come i sintetizzatori Moog contribuì a dare alla musica elettronica i primi momenti di notorietà. Nei decenni seguenti si è visto un progressivo perfezionamento delle tecnologie elettroniche e il proliferarsi di innumerevoli varianti di musica elettronica e stili che spaziano da quelli più commerciali a quelli di più difficile fruizione. La musica elettronica gode oggi di una notorietà diffusissima e ha contaminato pressoché ogni genere di musica popolare.

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Per approfondire:

Auralcrave

Il Tascabile

Approfondimento della Biblioteca Ospizio


 

Shoegaze

Lo shoegaze (o anche shoegazing) è un sottogenere musicale dell’alternative rock, sviluppatosi nel Regno Unito alla fine degli anni ottanta.

Tra gli elementi identificativi, oltre a un significativo utilizzo di effetti (perlopiù distorsore e riverbero) per le chitarre spesso impegnate in riff monocorda (drone), vi è un forte senso melodico delle parti vocali, trattate come mero strumento supplementare e quasi “sognanti”, tanto che il genere è in buona misura legato al dream pop. Grazie al muro di feedback prodotto dalle chitarre, il risultato è quasi assimilabile a certe produzioni di Phil Spector e ad una versione aggiornata e corretta (con l’utilizzo dell’elemento “rumore”) del suo Wall of Sound.

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